Mario Pincherle, Bardo Todol. Libro tibetano dei morti, Anima Edizioni, 2006.
Recensione di Simonetta Santandrea
Il Libro Tibetano dei morti, o Bardo Thödol, è un testo funebre molto più recente del suo corrispondente egizio e possiede incomparabilmente maggior consistenza interna e coerenza.
A differenza del Pert em hru (libro dei morti egizio) è un testo ben definito e omogeneo, del quale conosciamo l’autore e la data approssimata della sua redazione.
Nonostante abbia la sua base in un materiale orale molto più antico, fu scritto per la prima volta nell’ottavo secolo a.C. ed è attribuito al Grande Guru Padmasambhava. Questo leggendario maestro spirituale ha introdotto il Buddismo nel Tibet ed ha stabilito i fondamenti del Vajarayana, un insieme di insegnamenti buddisti e di elementi di una tradizione indigena ancestrale chiamata Bon, che fu la religione principale del Tibet prima dell’arrivo di Padmasambhava.
Il Bardo Thodol è una guida alla morte e al morire, un manuale che aiuta chi è partito a riconoscere, con l’aiuto di un lama competente, i vari stadi dello stato intermediario tra la morte e la successiva rinascita e ad ottenere la liberazione.
Il Libro Tibetano dei Morti fu scritto come una guida per il morire; tuttavia possiede livelli di significato addizionali. Secondo gli insegnamenti buddisti, morte e rinascita non avvengono soltanto in connessione con il decesso biologico e il successivo inizio di un’altra vita, bensì in ogni momento della nostra esistenza.
Gli stati descritti nel Bardo Thodol possono essere sperimentati anche in stati meditativi durante una pratica spirituale sistematica. Questo importante testo è, perciò, al tempo stesso, una guida per la morte, una guida per la vita e una guida per i ricercatori spirituali. Esso è costituito da una serie di istruzioni su sei tipi di liberazione: liberazione attraverso l’udire, l’indossare, il vedere, il ricordare, il gustare e il toccare.
Le istruzioni circa i diversi tipi di liberazione furono formulate da Padmasambhava e scritte da sua moglie. Padmasanbhava sotterrò questi testi sulle colline Gampo del Tibet centrale, così come fu fatto con molti altri testi e oggetti sacri, chiamati termas o “tesori nascosti”. Egli concesse il potere di scoprirli a venticinque dei suoi discepoli principali.
I testi del Bardo Thodol furono scoperti più tardi da Karma Lingpa, che appartenne alla tradizione Nyingma e che si incarnò successivamente in uno di questi discepoli. Questi testi sono utilizzati, da secoli, da chi studia con serietà i suoi insegnamenti, come guide importanti per la liberazione e l’illuminazione.
Il Bardo Thodol descrive le esperienze a cui si va incontro al momento della morte (Chikhai Bardo), durante il periodo in cui si hanno le visioni archetipiche e le illusioni karmiche che si susseguono alla morte (Chonyid Bardo) e nel processo in cui si cerca la rinascita (Sidpa Bardo).
Tradizionalmente, questo testo viene cantato dai maestri, o lama, per un periodo di quarantanove giorni dopo la morte, al fine di istruire lo spirito del defunto circa ciò che si deve aspettare nello stato Bardo e come utilizzare le esperienze in vista della liberazione.
La casa editrice Anima ha pubblicato nel 2006 il Libro Tibetano dei Morti con un commento a cura di Mario Pincherle, grande archeologo, poeta e attento studioso dell’uomo. A lui si devono fondamentali scoperte all’interno del Tempio del Sole, la grande piramide d’Egitto.
Fra i suoi libri ricordiamo: il Best Seller “Il Quinto Vangelo – Il Vangelo di Tommaso” tratto dai manoscritti del Nilo, il più straordinario documento della nostra Era, rimasto per diciannove secoli sotterrato e inaccessibile; Il Gesù proibito; Il Mosè proibito; Oro granulato; La Grande Piramide e lo Zed; Enoch – il primo libro del mondo. Collaborava a riviste di archeologia italiane e straniere e scriveva sui Rendiconti dell’Accademia dei Lincei.